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Il lavoro come “oasi” dai problemi? 6 domande di self-coaching.

C’è chi mette al primo posto il lavoro, chi mette al primo posto le relazioni e c’è chi mette al primo posto la cura di sé. Va bene ogni cosa, l’importante è capire cosa per noi ha più priorità.

Ognuno vive dunque il lavoro in maniera differente e c’è chi usa il lavoro anche per distrarsi e per non pensare alla vita quotidiana, perché magari sta vivendo un periodo difficile.
Di contro, chi non ha l’attitudine a lavorare molto per distrarsi, patisce anche il lavoro quando non sta bene e deve prima necessariamente riequilibrare le atre aree e poi dedicarsi al lavoro.

Per me ad esempio piace avere tutto in percentuali uguali, ma ho sperimentato quanto può essere “benefico”, in un momento in cui non stai bene, entrare in uno stato di flusso con il lavoro che ami, per uscire da quel dolore, da quel momento no.

Ma è davvero benefico o è un’illusione?

E allora mi sono chiesta: e se fosse proprio una strategia? E se le persone che dicono di lavorare tanto perché amano quello che fanno a volte è vero e altre lo fanno per non pensare al resto?

Io sono dell’idea che ci vada sempre un equilibrio in tutto, che se ti nascondi da una parte e la coperta è corta, qualcosa esce fuori da un’altra.

Se le relazioni vanno bene, va bene il lavoro e va bene la cura di te, qualsiasi cosa metti al primo posto, c’é equilibrio.

Si parla spesso di Work-Life Balance, come il corretto bilanciamento tra vita lavorativa e privata, corretto certo, sembra però che il lavoro non sia incluso nella parola Life.
Per me è ancora da suddividere, in 3, lavoro, relazioni e cura di sé, perché nel privato puoi avere anche ottime relazioni e stare pochissimo con te stesso/a.

Dunque ribattezzo questa ripartizione triadica in Work-Relationship-Selfcare Balance… però è troppo lunga e non funzionerebbe nel marketing… Work-Rel-Self Balance? WRS Balance?

Scegli tu, anzi, aiutami a trovare il nome più adatto così lo registriamo.

Tutto dev’essere ben equilibrato per funzionare bene.

Se ci si rinchiude in una bolla di una di queste tre realtà per sfuggire a una delle altre due o a tutte e due, allora c’è qualcosa che non va.

È vero che è stato temporaneamente un sollievo non pensare, dedicarsi al lavoro, ma poi la notte, a letto, quando fa i conti con te stesso/a, quando non lavori e non hai distrazioni, bussa, il pensiero bussa, il malessere bussa.

Quindi può essere un palliativo, può essere temporaneo, ma non può essere la vita di tutti i giorni.

Quando vedo persone che lavorano tantissimo e ostentano a dirti che sono felici così, mi interrogo sempre perché anch’io lavoro molto, amo lavorare, amo il mio lavoro, ma l’ho anche usato il mio lavoro e momenti in cui non sono stata bene.

E poi, da buona coach, ho analizzato e sperimentato modi diversi per uscire da momenti “no”, senza nascondermi dietro al lavoro.

Come ho fatto?
In questo modo, testalo anche tu se ne senti il bisogno.

Innanzitutto mi sono presa del tempo per me in un luogo tranquillo e poi, come sempre, mi sono fatta delle domande di self-coaching e mi sono chiesta:

  • Che importanza hanno per me ciascuna di queste aree della vita per un totale del 100%?
  • In base a quella %, quanto mi sto occupando di ognuna di esse?
    (esempio: Se è importante il 30%, me ne sto occupando per il 30% o meno?)
  • Quale sento in disequilibrio?
  • Possono in qualche modo, le altre aree, supportarmi?
  • Possono le altre aree aver influenzato negativamente l’area in disequilibrio?
  • Qual è la prima azione da fare per ripotenziare l’area che mi fa soffrire?

É un po’ un gioco di equilibri e consapevolezza.

Scrivere queste risposte è uno strumento potente, prendi le misure alle cose che accadono, abbassa l’ansia e chiarisce le idee.

Inoltre ti mostra come ognuno di noi è diverso, perciò, prima di pensare che una persona sia distante, distratta o strana, ricorda che magari ha solo altre priorità.

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